La professione di Venditore nell’era digitale – Intervista a Massimo Andreoni

L’inarrestabile e rapidissimo progresso della tecnologia sembrerebbe talvolta offuscare, se non sostituire, il ruolo dell’uomo. In realtà, invece, a parità di tecnologie, che sono spesso uguali e disponibili per tutte le aziende, diventa proprio l’uomo l’elemento che fa la differenza e che può determinare il successo o l’insuccesso di un’azienda.

Nel settore dei pneumatici la questione è particolarmente sentita, per l’avvento dell’e-commerce, che ha di fatto cambiato le regole del gioco e i rapporti tra i gommisti e i fornitori, imponendo alla figura del Venditore una sostanziale trasformazione.

Ne abbiamo parlato con Massimo Andreoni, consulente aziendale (in strategia, organizzazione, gestione del personale e formazione) con una consolidata esperienza nell’ambito di marketing e commercio, in buona parte maturata proprio nel settore industriale dei pneumatici, e titolare di un sito dove propone le sue riflessioni (www.massimoandreoni.it).

Quanto conta oggi il ruolo professionale del venditore?

Viviamo in un Paese dove la relazione personale ed il contatto contano ancora molto.

Capacità di ascolto, correttezza professionale e competenza restano tra le fondamenta per costruire un rapporto duraturo di fiducia, ed una forza vendita di livello è un fattore chiave di successo sul mercato.

Aggiungo che il pneumatico fa parte dei prodotti cosiddetti “problematici” (per distinguerli dai “banali”); sono cioè prodotti acquistati saltuariamente dal consumatore, con un prezzo di acquisto che non è trascurabile, un contenuto significativo di performance ed un coinvolgimento importante dell’acquirente. Sono prodotti per i quali l’argomentazione tecnica è un fattore decisivo per comprenderne la complessità, e se questo vale verso il consumatore, per conseguenza vale anche a monte tra venditore e cliente.

Si registra comunque una riduzione nel numero di venditori nel mercato pneumatici?

Escludendo quei casi di aziende con obiettivi di penetrazione sul nostro mercato o di espansione territoriale, che hanno quindi la necessità di reclutare venditori, siamo in effetti già da un po’ di tempo in una fase di ripensamento della numerosità delle organizzazioni commerciali. In molto casi purtroppo la riduzione dei venditori è stata un mezzo per contenere i costi commerciali.

Quanto ha contato in tutto questo lo sviluppo del digitale?

Tantissimo, perché le piattaforme digitali B2B ottimizzano fortemente la relazione azienda-cliente.

Quando sono ben strutturate, permettono a chi vende la presentazione completa dell’offerta, la rapidità di comunicazione, la semplificazione dei processi, una diminuzione dei costi operativi di transazione. Chi compra ha il grande vantaggio di un potenziale di scelta illimitato, perché la panoramica su differenti piattaforme permette una fotografia completa ed aggiornata sulle offerte di mercato.

Con questo potenziale di semplificazione della relazione azienda-cliente, ecco allora che la figura di venditore può correre dei rischi nel momento in cui l’azienda ha la necessità o la volontà di razionalizzare la sua organizzazione.

Come vivono questo momento i venditori?

Premetto che, più che una professione, quello di venditore è uno stile di vita, che moltissimi non cambierebbero mai. La funzione di venditore è complessa, perché combina competenze di prodotto con capacità di relazione, gode di una autonomia che però a volte sconfina in solitudine, offre grandi soddisfazioni alternate a grandi difficoltà. Una varietà che è alla base della passione per la professione, che ho riscontrato in moltissimi venditori; allo stesso tempo, ho rilevato anche la frustrazione per non poter più dominare, come una volta, tutte le dinamiche legate alla gestione del cliente, e poter sempre rispondere efficacemente alle pressioni per il raggiungimento degli obiettivi.

In questo scenario di importanza sempre più forte del digitale, molti venditori si pongono in effetti degli interrogativi sul loro futuro.

C’è allora il rischio di una “selezione naturale”?

Se sul mercato il numero di venditori si riduce, il buon senso fa pensare che le probabilità di successo non siano uguali per tutti. In un mondo che è cambiato e continuerà a cambiare, è logico che anche la professione di venditore sia destinata ad evolvere, ed il venditore di successo di domani sarà quello che prenderà consapevolezza di questo, attivandosi di conseguenza.

Farà la differenza, infatti, la voglia di migliorarsi costantemente, allargando costantemente il bagaglio delle proprie conoscenze. Il buon venditore dovrà sempre riuscire a dare una risposta positiva alla domanda: “riesco a dare valore aggiunto ai miei clienti, rispetto a quello che riuscirebbe a fare un altro venditore?”

Come evolvere quindi?

Cominciando da alcuni fondamentali, ho conosciuto venditori con grandi competenze prodotto ma con capacità relazionali molto migliorabili, ed all’opposto venditori che fondano la propria professionalità sul tentativo di instaurare rapporti amichevoli con i clienti, con conoscenze prodotto lacunose. Ovvio che un equilibrio tra queste due componenti è un punto di partenza imprescindibile.

Premesso questo, va comunque detto che non basta.

La professione di venditore deve trovare una sua giustificazione in contesti nuovi, dove le esigenze dei clienti non sono più le stesse. Il venditore che resta un semplice raccoglitore di ordini, un esecutore che fa da intermediario passivo tra azienda e cliente, non serve più. Questa è una figura sorpassata dagli eventi: il cliente sa trasmettere benissimo i suoi ordini tramite il web.

Quello che il venditore deve saper coltivare è il potenziale di consiglio e di orientamento del cliente nei differenti ambiti del suo business, quasi come un consulente. Per diventare una risorsa irrinunciabile, il venditore deve saper diventare un riferimento per il cliente, un interlocutore fidato con cui il cliente sa di potersi sempre aggiornare e confrontare.

Quali sono gli ambiti di business in cui migliorarsi?

Tutti quelli che sono utili a interpretare le dinamiche del mercato, di una azienda, dei suoi clienti, ovviamente senza voler diventare “tuttologi”. Cito, a titolo di esempio, alcune tematiche:

 le principali grandezze e tendenze macroeconomiche,
 i motori di crescita del proprio mercato
 la visione aziendale a medio termine,
 i posizionamenti e le strategie dei concorrenti,
 l’evoluzione dei canali distributivi,
 il ruolo del marketing ed il suo mix,
 il bilancio di esercizio ed i principali indicatori di performance,
 i trasporti e la logistica,
 il credito,
 le opportunità digitali

e così via… padroneggiando i fondamentali di queste tematiche si riesce potenzialmente a portare valore aggiunto al cliente.

Quindi la formazione è sempre più importante?

Sì, perché è uno strumento fondamentale di accompagnamento al cambiamento. Una tentazione che può venire in momenti di crisi è tagliare o dilazionare il processo di formazione, ma così il personale non evolve.
E’ come se una fabbrica tagliasse radicalmente i costi di manutenzione di un macchinario: certo si risparmia, ma non si adegua una leva necessaria alla permanenza sul mercato.

Preciso anche che il venditore che vuole migliorarsi non aspetta sempre e solo la formazione che proviene dalla azienda, ma sa anche colmare poco a poco le proprie lacune documentandosi, informandosi, navigando sul web; secondo me è un dovere attivarsi proattivamente.

A questo punto meglio venditori diretti o agenti?

Non c’è una risposta valida per ogni azienda e per ogni momento. Entrambe le soluzioni hanno vantaggi e svantaggi, perché ad esempio la prima figura incide in maniera fissa sui costi aziendali ma è più orientabile dalla azienda anche su attività extra-vendita; l’opposto per la seconda. Un’ottica di variabilizzazione dei costi orienta di frequente verso la figura di agente, ma in questo caso il rischio è un minore senso di appartenenza ed una minore fedeltà.

Come promuovere il senso di appartenenza del venditore all’azienda?

Ci sono idealmente tre componenti che devono essere in equilibrio nel rapporto tra azienda-venditori: il management, il trattamento, le prospettive. La prima riguarda la corretta gestione della forza di vendita, ad esempio attraverso uno stile di management partecipativo, la messa in atto di un processo di valutazione delle performance, l’accompagnamento al superamento delle difficoltà, la creazione di occasioni di confronto; la seconda riguarda l’equità della remunerazione, possibilmente in un mix tra fisso, variabile ed incentivi, che deve dare sicurezza ma anche stimolare alla crescita ed alla iniziativa; la terza la visione sulle prospettive future, con un percorso di crescita costante nelle competenze o responsabilità, dove la formazione riveste una funzione decisiva. L’equilibrio comporta che se una delle componenti è debole, un’altra la deve compensare.

© riproduzione riservata
made by nodopiano