Piave Tyres: il futuro della ricostruzione è già qui

Dopo anni di ricerca e sviluppo Gomme Piave, che nel 2016 è diventata Piave Tyres, ha perfezionato la tecnologia DPS, che oggi è realtà: sono già state prodotte diverse centinaia di gomme OTR con questo sistema innovativo, che utilizza l’acqua per essere più verde ed economico.

Il progetto DPS, sigla che sta per Deep Profile System, è nato dalla consapevolezza che spesso i pneumatici avviati alla ricostruzione presentano ancora del battistrada utile, che però viene completamente rimosso con la raspatura. Si generano così sprechi e costi per l’ambiente, oltre al fatto che la mescola ricostruita non potrà mai essere qualitativamente simile a quella originale dei produttori premium. L’idea è stata quella di trovare un sistema che permettesse di asportare il minor strato di battistrada possibile ed è arrivata quasi per caso, come le migliori scoperte: l’azienda pensava di poter usare l’acqua per scolpire i crateri dei pneumatici, ma si è accorta che in realtà la superficie lavorata diventava ideale per poter ospitare nuova mescola. Partirono le prove e la costruzione di una prima attrezzatura rudimentale, a cui sono seguiti diversi test, prima in laboratorio e poi sul campo. Nel 2016 è arrivata una nuova macchina più professionale e ad oggi sono oltre 400 le gomme realizzate con questo nuovo processo.

Il DPS in dettaglio

“Piave Tyres ha sviluppato un sistema di raspatura estremamente delicato, chiamato Waterbuff, che è capace di asportare un sottilissimo strato di pochi millimetri di gomma. In questo modo, si riesce a mantenere la gomma originale e quindi le caratteristiche del pneumatico. Inoltre è un processo che dal punto di vista economico porta grandi benefici: meno gomma rimossa significa meno gomma da dover aggiungere(….). Questo processo non intacca in nessun modo la carcassa, rispettando e non modificando l’imprinting e la forma che la casa madre dà alla carcassa nel momento in cui “nasce” e viene vulcanizzata”, ha affermato Fabrizio Favaro, contitolare dell’azienda.

Questo processo, inoltre, è automatizzato e non prevede il lavoro di un operatore specializzato, cosa che si traduce in maggior sicurezza e minor possibilità di errore umano” (.…), ha aggiunto l’ingegner Silvestro Mennella, che si è occupato del progetto. “La mescola viene rimossa in maniera particolare, a livello atomico. Si ha, infatti, un bombardamento tra molecola e molecola: l’acqua viene di fatto “sparata” sulla gomma e quando la colpisce, per azione e reazione rimuove la molecola dello zolfo, che si trova all’interno della gomma ed è responsabile del legame elastico. Rimuovendo lo zolfo, la gomma è libera, pronta a ricevere nuova mescola. Questa è, a tutti gli effetti, la grande scoperta scientifica di Piave Tyres: abbiamo scoperto come devulcanizzare la gomma.”

L’idea di utilizzare l’acqua nel processo di raspatura non è nuova: un’altra azienda italiana utilizza l’acqua per demolire i pneumatici fuori uso, attività di cui si occupa, con lo stesso sistema, anche un concorrente ungherese. Quello che è diverso nel caso di Piave Tyres è l’approccio: chi demolisce i pneumatici si è accorto che, durante il processo, una piccola parte della gomma, circa il 15%, si devulcanizza. Un risultato casuale, dovuto ad un insieme di variabili combinate nel modo giusto. Piave Tyres, invece, ha cercato le giuste variabili per devulcanizzare tutta la superficie della gomma. Il risultato è la creazione di una macchina che, grazie ad un algoritmo brevettato, gestisce determinate caratteristiche di vicinanza, velocità, forma e tipo di ugello, rotazione, pressione e quantità d’acqua, che rendono possibile la creazione di una superficie omogenea e devulcanizzata.

Dopo il Waterbuff, la superficie della mescola è pronta per la nuova gomma, che viene direttamente aggiunta senza solventi o colle. Per ogni pneumatico si aggiunge l’esatta quantità di gomma necessaria, senza sprechi e senza toccare la carcassa, che quindi non viene snaturata come accade nel classico processo di ricostruzione. Successivamente si riscolpisce il battistrada con lo stesso disegno originale.

Le carcasse molto consumate vengono raspate con il Waterbuff e poi cotte in stampo, mentre se le carcasse sono in condizioni ottimali, con almeno 10-12 millimetri di battistrada residuo, si ripristina solo il tacco e si vulcanizza in autoclave.

“In entrambi i casi – continua Mennella – il risparmio di materiale è notevole, ma il fatto più importante è che test scientifici come quelli di trazione, compressione, sollecitazione in rototraslazione e in rotoflessione e la prova dello stress a pressioni molto più elevate dello standard hanno dimostrato che c’è continuità molecolare tra le due superfici. Il grande vantaggio è che non è presente il sottostrato e il sottofondo classico del ricostruito tradizionale, che non consente al calore di espandersi omogeneamente su tutta la superficie. Le performance sono di gran lunga migliorate rispetto al ricostruito tradizionale: un pneumatico premium OTR lavora per circa 8.000 ore, mentre il ricostruito ne garantisce 4.000. Già oggi possiamo dire che Piave Tyres non ricostruisce più con il metodo tradizionale: il 100% degli pneumatici prodotti si avvalgono del sistema molecolare Waterbuff e il DPS conta per un 20% circa delle carcasse. Serve cambiare mentalità, smontando prima le gomme per ottenere benefici maggiori. L’obiettivo finale è cambiare totalmente il processo di ricostruzione, eliminando la serie di handicap strutturali che quest’ultimo si porta dietro, estendendo la vita del pneumatico. A conti fatti, non produciamo uno pneumatico ricostruito, ma rinnovato.”

Un progetto interessante e dai grandi benefici ambientali. Ma come intende guadagnare l’azienda? Le idee di business sono due: Piave Tyres, grazie ai brevetti, è l’unica azienda che può usufruire dei vantaggi di questo tipo di ricostruzione e quindi intende guardare all’Europa come bacino di vendita diretta: da qui il cambio di nome dell’azienda e la ricerca, in corso, di personale commerciale con competenze pregresse nel settore.

La seconda idea è, invece, la creazione di una rete di ricostruttori che utilizzino questo processo. Piave Tyres fornirebbe l’attrezzatura, la formazione del personale e tutto l’occorrente per iniziare a lavorare con il DPS, a fronte, naturalmente, di un corrispettivo economico.

Inoltre, Piave Tyres presenterà presto un’altra novità importante sulla riparazione degli pneumatici. Con l’ausilio di un robot, controllato da un particolare algoritmo, la nuova craterizzatrice ad acqua taglierà con estrema precisione, solo la parte danneggiata della carcassa, senza l’ausilio di fresatrici, turbine e utensili rumorosi, inquinanti e pericolosi per l’operatore.

E per quel che riguarda le applicazioni? “Siamo in procinto di depositare i brevetti per l’autocarro. A breve saremo in grado di annunciare novità anche per questo settore. Il DPS potrebbe anche generare una controtendenza verso il prodotto di seconda fascia, la cui carcassa è difficilmente rigenerabile. La scelta di uno pneumatico nuovo di qualità, e poi successivamente rigenerato, infatti, potrà portare grandi vantaggi nel costo orario rispetto all’acquisto di un pneumatico di scarsa qualità che garantisce solamente un risparmio immediato e minore nel tempo, senza considerare i benefici per l’ambiente e per l’industria e l’artigianato italiano ed occidentale.

Il progetto è stato anche presentato all’Unione Europea, che l’ha riconosciuto come una delle 16 proposte più interessanti del 2016, su un totale di 900: “Se si pensa alle risorse, al materiale e al consumo energetico necessari alla produzione di un singolo pneumatico e a quanto poco materiale viene asportato perchè il prodotto venga considerato finito, c’è qualcosa che non va. Senza considerare che anche lo smaltimento ha un costo. Deve essere possibile fare qualcosa e Piave Tyres crede di poter cambiare il mondo della ricostruzione con il DPS”, conclude Favaro.

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